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È lì, lui: immobile, maestoso e austero, con quel fascino comune ai luoghi misteriosi e dimenticati ma che conservano in loro stessi la forza (intesa come essenza della materia , alla maniera di Leibniz) di qualcosa di unico. Tutto ciò è l’ex Convento francescano di Sant’Antonio da Padova, volgarmente appellato come Sant’Antonino dagli sciclitani.
Lo straordinario complesso monumentale di Sant’Antonino, composto dalla chiesa con l’annesso convento è uno degli scrigni più preziosi che la nostra città possiede ma, allo stesso tempo, è sicuramente quello maggiormente dimenticato. Da tutti. Si, perché istituzioni di ogni ordine e grado e cittadini lo hanno rimosso dalla loro memoria, messo così com’è in un cantuccio, coperto alla vista dei più da orribili esempi di edilizia selvaggia e dalle sterpaglie che lo avvolgono, isolato da ogni arteria stradale capace di avvicinarne le vestigia da vicino.
Molti fra i nostri concittadini, purtroppo, non ne conoscono neanche l’esistenza;
eppure dovrebbe essere una perla rara e non solo per la nostra città ma anche per l’intero Val di Noto, dove i resti di un’edilizia antecedente al terremoto dell’11 Gennaio 1693 si contano sulle dita di una mano.
Invece, solamente abbandono e degrado albergano fra i ruderi di questa stupenda fabbrica tardomedievale databile alla seconda metà del 1300 e con una cupola gotica del 1400 circa dove, addirittura, alligna un albero di mandorlo! Questo nonostante nel 1993,
l’Assessorato Regionale ai Beni Culturali abbia vincolato il bene secondo i dettami della legge 1089 del 1939,
ritenendolo letteralmente “di notevole interesse storico e artistico, perché pregevole testimonianza architettonica sia per quanto riguarda il suo insieme, sia per quanto riguarda i singoli elementi che lo compongono: chiesa, cappella, convento, loggiato.”.
Negli anni, accorati sono stati gli appelli da parte dei vari gruppi culturali della città al fine di smuovere le istituzioni dal proprio torpore ed occuparsi dell’acquisizione. Il bene, infatti, dal 1866 è in mano ai privati in seguito alla vendita da parte dello Stato dei beni ecclesiastici confiscati dopo l’Unità d’Italia nel 1861.
La famiglia Sgarlata-Giavatto, proprietaria dell’immobile, ha espresso la disponibilità a vendere sia l’immobile che il terreno al Comune di Scicli, dopo che nel 2006 lo stesso Comune ha acquisito uno studio di fattibilità prodotto dall’ Università di Genova in cui si evince lo stato di degrado del monumento e gli interventi urgenti necessari per la messa in sicurezza del bene.
Il Comune di Scicli (giunta Venticinque) ha dimostrato l’intenzione di acquistare il tutto ma solo in seguito a finanziamenti regionali visto lo stato pietoso in cui versano le casse comunali. Queste le ultime notizie, risalenti, però, all’ autunno del 2011. Poi, il silenzio, quando bisognerebbe agire subito nella messa in sicurezza del complesso monumentale, soprattutto della cupola, la quale, sottoposta alle incessanti intemperie metereologiche, è continuamente a rischio crollo.
La ruderizzazione, cioè la messa in sicurezza dell’esistente, insieme ad un intervento minimo di consolidamento farebbero diventare un eccezionale museo a cielo aperto questa testimonianza storica che potrebbe essere anche protagonista di un nascente Parco Fluviale (idea già esistente nei cassetti dell’ufficio tecnico comunale), occupante il fondovalle tracciato dal torrente Modica-Scicli che costeggia il convento.
Bisogna capire che la nostra storia affonda ben prima delle splendide forme artistiche del settecento ibleo.
Non siamo solo barocco ma anche barocco. Fortunatamente Sant’Antonino è lì, fermo, ad aspettarci. Tocca a noi, e solo a noi, destarlo dal suo lungo sonno, non aspettando, però, oltre, perché ciò potrebbe costarci la perdita di una fetta importante della nostra secolare storia.
Vincenzo Burragato
Nota: Del convento di Sant’Antonino se ne è parlato lo scorso sabato 13 maggio 2017, durante l’incontro con Legambiente Scicli Kiafura ed il Club per l’Unesco di Scicli, in occasione della XVI Edizione di Salvalarte Sicilia.
CREDIT FOTO: Michele Cataudella