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12 Luglio 2017Il matrimonio a Cava D’Aliga targato anni ’60
(di Maria Carmela Miccichè)
Era la fine degli anni ’60. Quando c’era un matrimonio si invitava quanta più gente si poteva, dai vicini di quartiere ai parenti dei parenti, agli amici degli amici, ai tempi l’importanza di matrimoni e funerali era data dal numero dei partecipanti (come i like su facebook).
Per organizzare un matrimonio bisognava prepararsi in anticipo. L’anticipo era di una stagione. Non c’erano file e prenotazioni, eppure si sposavano tutti! Ciascuno nella sua chiesa d’appartenenza e il parroco aveva sempre il tempo di celebrare un matrimonio tra le lodi mattutine e un vespro. Scelta la data si andava per gli abiti. Lo sposo ci metteva nulla, bastava un completo scuro con cravatta e camicia bianca che, dopo, avrebbe usato per tutti i matrimoni a venire.
La sposa era già più complicata, ma non troppo, gli abiti da sposa si compravano nelle due, tre, boutique di zona, raramente si andava fuori provincia, oppure venivano confezionati dalle sartine locali, l’importante era capire la metratura del velo che andava sempre in numero dispari, come le rose, un metro, tre metri, cinque metri.
Le bomboniere
Per le bomboniere si seguiva la moda del momento, statuine di finto capodimonte, posacenere di vario genere e materia, dal vetro all’argento 800, insomma tutto quello che poi abbiamo trovato stipato nelle credenze dei nostri genitori e nelle varie pesche di beneficenza di tutte le feste religiose.
La bomboniera importante veniva consegnata quando gli invitati portavano il regalo. Allora non c’erano le liste scelte dagli sposi, il regalo doveva essere libero e spontaneo e rappresentava la generosità e molto spesso la tirchieria degli invitati. Sarebbe stata cattiva educazione suggerire o dire specificatamente cosa comprare e soprattutto sapere il prezzo del regalo che si sarebbe ricevuto (altri tempi proprio!!!), così gli sposi si ritrovavano la nuova casa piena di doppioni: orologi, piatti e nelle peggiori ipotesi, orribili statuine soprammobili che poi riciclavano come regali di nozze ad altri fino a quando si trovava quella sposa che amava il genere.
In tutta questa storia di preparativi, il futuro sposo era escluso, nel senso che non si sapeva cosa potergli far fare eppure arrivava al fatidico giorno stanchissimo, agitato ed emozionato come da prassi.
Il ristorante
Preparato tutto si doveva scegliere il ristorante, che poi era il motivo principale per essere presenti al matrimonio. Erano tempi che i ristoranti lavoravano solo per i matrimoni e tutte le altre feste ed occasioni si festeggiavano con grandi grigliate nelle case di campagna o infornate di scacce e pane cunzato e fagnotta di arancine.
La Scogliera, era ai tempi, il ristornate più gettonato. Nato sugli scogli per caso, per scommessa o per lungimiranza, non faticò ad essere il più ambito ristorante per i matrimoni. Gli sposi potevano avere in ricordo delle magnifiche foto con il mare come sfondo e la spiaggia di Cava D’Aliga da quando fu progettata dal Creatore mantiene inalterato il suo fascino accattivante.
Il menù
Il menù per i commensali tirati a lucido per l’occasione era: antipasto all’italiana (fettine di salame e prosciutto con sottaceti e olive) oppure insalata di mare (ne ricordo ancora il sapore, il profumo, forse i sensi erano coinvolti dal mare che batteva sotto le finestre, ma quel profumo lo ricordo ancora). Come primo c’erano: tortellini al ragù o lasagne al forno.
Il secondo, sempre a scelta: pollo al forno con patate, o bistecca arrostita oppure fetta di pesce spada grigliata con insalata mista. Torta nuziale con gli (passatemi il termine) orribili sposi in plastica sopra e il caffè. Finto il pranzo gli invitati erano autorizzati a fumare, anzi era quasi la conclusione d’obbligo, così lo sposo passava a distribuire sigarette e anche alcune donne morigerate in quell’occasione le si poteva vedere in posa con la sigaretta (!?!?).
Mentre i camerieri approntati (nessuno avrebbe immaginato che c’era una scuola per fare i camerieri) sparecchiavano, tutti gli invitati si mettevano in fila per salutare gli sposi e ricevere i confetti. Era la seconda bomboniera, meno importante e veniva data a ogni invitato, anche ai bambini, nello specifico la fantasia trovò libero sfogo, c’erano fiori di carta, fazzolettini ricamati, centrini fatti a mano da nonne, zie e vicine di casa, qualsiasi cosa che costasse poco e potesse accompagnare i confetti che, a darli in mano, pareva brutto.
Erano gli anni della 500, di Celentano e della Scogliera e l’amore era una cosa semplice.
Credit testo:
Maria Carmela Micciché è nata a Scigli (Rg), cittadina in cui vive e lavora. Ha scritto per alcuni giornali locali ed ha partecipato a più concorsi letterari, vincendo il “Moak” e, ripetutamente, il “Città di Sortino”. Alla domanda da dove nasce la sua scrittura, risponde: “Ho sempre amato le immagini, ma non sapendo disegnare ho cercato, fin da piccola, di creare immagini con le parole”.
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